giovedì 31 luglio 2014

3 esempi di Comunicazione

Quando le apparenze non ingannano entra in gioco la creatività e l’identità che un brand ha sviluppato nel corso del tempo, immagine che è nella maggior parte dei casi coordinata, studiata e implementata da professionisti della comunicazione.
A volte però, può capitare che quando le dimensioni di un’azienda diventano sempre più grandi ci possa essere dispersione e magari subentrare problemi di connessione tra i reparti.
Ma questo non dovrebbe mai capitare. Chi si occupa di organizzazione interna lo sa bene e chi invece amministra un’azienda lo sa ancora meglio.

Ad esempio, il reparto che si occupa del packaging di questo famoso yogurt perché è incappato in modo così superficiale in questa “contraddizione”? Soprattutto per il fatto che il brand tedesco, da quasi 5 mld di euro di fatturato, ha sempre spinto sull’immagine dell’amore e del piacere fisico durante la degustazione del prodotto. E allora se l’amore non “dovrebbe” avere prezzo qui addirittura è super scontato.



Invece un packaging azzeccatissimo ed evidentemente destinato ad un target maschile è del detersivo per lavatrice Dixan concentrato con dosatore incluso. Pratico, poco ingombrante, concentrato e anche cool. Maschi sotto con le lavatrici!



Chiudo con l’operazione audace e allo stesso tempo di sicuro effetto di Nike che pur di incoraggiare ad usare i suoi prodotti (che fanno bene alla salute!”) modifica uno degli oggetti più comuni dell’arredo pubblico. Direi geniale.



giovedì 7 novembre 2013

Sottrazioni vitali

È da più di un anno che non scrivo articoli. La scrittura per me è vita, profondità del sentire, metafora perenne per trasporre ogni respiro e tratto distintivo dell’essere umano.
Non avendo scritto allora si potrebbe pensare che in questo periodo non abbia nemmeno vissuto, o meglio vissuto in modo completo.
Non è esatto. Ho più che altro osservato, studiato, incamerato. Ho avuto il tempo di annoiarmi, disgustarmi, stupirmi, stupirmi di essere stupito, rattristarmi, scoraggiarmi, rivivere, eccitarmi, riflettere, godere, odiare.

Professionalmente in questo periodo mi sono cimentato con una start up molto impegnativa in un settore merceologico tutto da scoprire.
Mi sono ritrovato nei meandri esclusivi e ignoti di un amore uroborico.
Ho perso degli amici e ho scoperto nelle persone problematiche prima ignorate.
Soprattutto ho perso parte della mia immaturità venendo a mancare mio padre dopo un periodo di malattia.
È stato proprio questo periodo a farmi considerare meglio il concetto di sottrazione, quelle infinite cose che perdiamo nella vita.
Mi è tornato in mente che, tempo fa, usavo il concetto di sottrazione nella realizzazione di alcuni video aziendali.
In pratica, invece di far corrispondere la parola ad una immagine, era lo schermo nero che lasciava spazio all’immaginazione di chi guardava ed offriva la libera interpretazione al messaggio che si “doveva” proporre. Perché è difficile sintetizzare un concetto in una parola e farlo combaciare con un’immagine ancora di più, a volte quindi è meglio lasciare questa operazione all’idea che ognuno di noi ha in mente.
Ho applicato negli anni questo concetto in tantissimi altri lavori e sempre con successo.
Ma umanamente il concetto di sottrazione a volte, provoca dolore e rabbia davanti alla sua irreversibilità. In alcuni casi anche un danno psicologico che è sempre più evidente in alcuni risvolti decadenti della società.
Nonostante quella caratteristica digitale-onnisciente della comunicazione attuale che professa uno stile di vita dove l’importante è acquisire cose (per lo più), ma anche servizi, sapere, contatti sociali (virtuali per lo più) e ambizioni, viviamo in un frangente epocale dove subiamo costantemente una sottrazione.

La proposizione di un qualsiasi modello sociale viene velocemente seguita dalla sua impossibilità nel realizzarlo.
La perenne rincorsa alla crescita, che sia produzione industriale o status sociale, è sempre interrotta da “ostacoli” insormontabili che nella teoria proposta vengono visti solo come probabili, it’s up to you cioè spetta a te, ma alla fine puntualmente accadono. Vengono solamente nascosti, spostati dal nostro focus visivo, elusi.
Ogni istituzione però ha dietro delle persone.
Aziende e famiglie hanno sempre e comunque alle spalle delle persone. E le persone quotidianamente non vivono in un film, a volte sono stanche della routine, s’interrogano se magari vogliono un figlio, vorrebbero una vita meno noiosa e allo stesso tempo più forza per essere intraprendenti... Vogliono una ragione per consacrare la loro vita. Ecco quello che vogliono.
Tutti noi vogliamo una ragione per consacrare la nostra vita. Una ragione per sacrificarci, una ragione che ci faccia sentire eroe ogni giorno.
Penso, e ne sono convinto, che intercettare questo bisogno sempre più sentito in questa seconda decade del millennio delle “meraviglie” (cit. Salgari), porterà ad un nuovo modo di fare business, qualsiasi esso sia.
Oltre le ricerche di mercato, oltre gli studi neuronali, oltre tutti quei libri che abbiamo studiato.
"Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata" (dal film L'ultimo Samurai).

A presto.

RCD



mercoledì 1 agosto 2012

Il concetto dello Zero.


Nel 1985 lo scrittore statunitense Bret Easton Ellis pubblicò il suo primo romanzo Less than zero, in altre parole Meno di zero, che in pratica era la tesina finale del corso in scrittura creativa che aveva frequentato con merito. È la storia del protagonista e degli innumerevoli personaggi di contorno, tutti abbastanza livellati fra loro, che rappresentano una classe sociale materialista, affettivamente incapace e pericolosamente propensa alle esperienze estreme, ma è soprattutto un romanzo che descrive freddamente l’atmosfera e la filosofia degli anni ’80. Il romanzo fece successo e ne seguì anche un film.
Da quegli anni dorati sono passati ormai due decenni, anni che hanno permesso all’industria della pubblicità e dell’immagine di perfezionarsi a tal punto da riuscire anche a far tornare di moda alcuni oggetti e manie dell’epoca. Ed è certo che i più grandi e radicati miti nel nostro tempo sono esplosi a livello globale proprio allora, come la Coca Cola Light, i Levi’s, ecce cc.
Devo dire che oggi analizzando i più svariati prodotti commerciali, forme di comunicazione, spot e produzione d’immagine in generale, mi è balzata all’occhio l’importanza di avere, per la maggior parte dei brand, in qualche modo, in qualche etichetta della confezione, la scritta, la formula magica “Zero”.
Lo Zero rappresenta un universo di simbologie per l’essere umano; è l’unico numero reale, né positivo né negativo. È il punto di partenza per tutte le civiltà.
In tutti i settori merceologici e in tutto il mondo lo Zero sembra avere un’importanza così profonda, atavica e commerciale stupefacente.
I deodoranti hanno impatto Zero sulla pelle, Le bevande non contengono più un granello di zucchero, così gli yogurt e tutto quello che si può mangiare.
Con la dicitura Zero c’è di tutto e in tutti i settori merceologici, editoria, arte, personaggi famosi e alimentare soprattutto.
E poi alla fine, come se non bastasse l’overload informativo, sono arrivati i prodotti a kilometro Zero, che alcuni considerano una bufala. Per quanto riguarda le grandi città, infatti, la qualità dei prodotti è inficiata dal posto specifico della coltivazione poiché solitamente nelle zone limitrofe alla città, che di solito vengono utilizzate per lo stoccaggio e il riciclo dei rifiuti, ci sono anche delle zone verdi che notoriamente assorbono lo smog attirandolo. Ma a parte questo la dicitura Kilometro Zero impone che i prodotti siano coltivati entro 999 metri. Impossibile no?
Ma volevo chiudere con una provocazione, vista e considerata la superficialità sempre più dilagante nella nostra società e il modo con il quale conduciamo i nostri rapporti, non è che sarà il nostro intelletto ad essere diventato Zero? Quanto meno possiamo sempre dire Light.

RCD

sabato 7 luglio 2012

L’aspetto sociale della comunicazione oggi.


Quando nel 1996 scrissi la mia tesi di laurea in Sociologia ero molto incuriosito dalla situazione che Internet stava imponendo alla variegata e stratificata società americana.
In particolare, dal punto di vista dei Mass Media e della comunicazione in generale, decisi di approfondire il fatto che una nuova condizione umana stava prendendo sempre più tempo nella vita di ognuno, soprattutto dei giovani, per eccellenza i primi recettori delle novità nei costumi e nei modi di comportarsi.
A quel tempo Google non era che un piccolissimo e quasi sperimentale motore di ricerca sul quale nessuno avrebbe scommesso, lo si usava più che altro per curiosità, anche perché il motore di ricerca come idea originale era già stata sviluppata e la rete offriva una certa quantità di servizi simili.
Ma non era questo fatto ad attrarre la già fiorente letteratura di studiosi di comunicazione sulla rete, bensì il risvolto sociale che potevano avere i gruppi di discussione che si erano moltiplicati in modo esponenziale nei precedenti cinque anni. Insomma, la gente e come detto prima i giovani, passavano sempre più tempo on line, non tanto a giocare, non tanto a studiare/ricercare informazioni, ma a incontrarsi, discutere, scambiarsi informazioni. Vivere insomma. Da quel momento in poi le chat room cambiarono forma, implementarono la loro semplice dimensione di testo per cercare di far vivere alle persone la loro vita come se fosse reale. Come “se fosse” reale appunto. Sta di fatto che l’esperienza on line diventò quasi immediatamente parte della vita reale. Gli amici reali si trasferirono on line e diventarono virtuali, tutta la realtà diventò virtuale. Si arrivò a pensare che tutto il mondo un giorno potesse diventare virtuale ed è un po’ la tesi di fondo del film Matrix.
In ogni modo nel corso degli anni Internet vinse le resistenze di ogni media e delle arti e oggi è diventato a tutti gli effetti un prolungamento del nostro essere. Anzi è un prolungamento della nostra intelligenza.
Però la profezia di Matrix è ancora lontana e osservando il mondo del Marketing e della Comunicazione oggi posso dire che c’è un ritorno al passato non come dinamica nostalgica, ma come recupero di alcune emozioni, esperienze e sensazioni ataviche irrinunciabili per il nostro essere umani. Ovviamente l’aspetto digitale, o meglio definito Social, amplifica questo dualismo del nostro vivere il nuovo millennio. L’interconnessione reale/emozionale viene amplificata da una condivisione che, in teoria, è ripetibile all’infinito e in ogni angolo del pianeta, abbattendo anche la teoria ormai vetusta dei 6 gradi di separazione.
Guardando il futuro prossimo della comunicazione commerciale posso dire che la chiave del successo è nel trasmettere al cliente non tanto un’emozione attraverso l’organizzazione di un evento, ma far vivere una vera e propria esperienza. Ed è proprio questa la nuova frontiera da ricercare per tutti quelli che vogliono lavorare nel settore. Creare un percorso, viverlo e poi condividerlo. Perché è proprio quando si sente il bisogno di fermare o registrare dei momenti importanti è lì, in quell’istante specifico che è racchiuso l’apogeo dell’unione tra un essere umano e il brand. E questa unione diventerà indissolubile.

RCD

mercoledì 11 aprile 2012

La filosofia “non spicciola” della nuova Peugeot 208

A volte le aziende scelgono di promuovere un prodotto e di conseguenza la loro immagine complessiva del brand, in maniera del tutto convenzionale, conservatrice, a causa della paura e dell’immobilismo di qualche manager.
A volte invece il tutto avviene con troppa irruenza, proprio perché gli stessi manager per dimostrare che non appartengono al passato e che hanno in pratica ottenuto tutto quello che potevano sperare nella vita, approvano spot e in generale l’advertising di un nuovo prodotto fuori dagli schemi, tradendo l’immagine che il cliente ha sempre avuto in quella marca.
Mi sono occupato spesso di ciò che non mi piace e ciò che poteva essere migliorato sotto l’aspetto puramente comunicativo. L’altra sera però un 30 secondi ha catturato la mia attenzione. E non è facile davvero catturare la mia attenzione. Anche perché lo spot appartiene ad una casa automobilistica e le case automobilistiche per non rischiare in questo periodo per loro così delicato e di passaggio (si spera ad un’epoca di totale innovazione) tendono a fare quegli spot dove la filosofia più incredibile, i concetti più profondi, la letteratura più impegnata fa da perno allo stimolo ultimo che è sempre lo stesso: comprare il prodotto. A volte guardando uno spot del genere sembra che i copywriter ti vogliano “suggerire” lezioni di vita se non addirittura stili di vita corretti, rivoluzioni silenziose e quotidiane, modi di essere e di non essere, come apparire e come sparire nel week end, nel traffico, nella città. Insomma meglio di On the road di Jack Kerouac. Però annoiano. Tutte in generale sia che si parli di famigliari o Suv o di fuori strada e ultimamente anche di sportive tedesche. No dico anche i tedeschi stanno adottando questa filosofia spicciola da agenzia pubblicitaria burocratizzata per farti prendere una decisione (strada nella metafora) piuttosto che un’altra.
Vengo al punto.
La mia attenzione è andata allo spot della nuova Peugeot 208, delicato, poetico, quasi timido. Scontato? No, vero. Perché c’è un ragazzo tocca il volante della sua (prima) automobile e da quel momento si scatenano immagini e frammenti di vita supportati dalle parole: “siamo nati per muoverci, per sorprenderci, per gioire, per creare, per emozionarci, per lasciarci il passato alle spalle...”.
Un’esperienza totale, del corpo e della mente, come la prima volta che guidi “208 è nata per noi, let your body drive…”, appunto. Nulla di più azzeccato per il payoff.
E poi dentro la pubblicità, come forte volontà, come sottolineatura, come scelta di posizionamento: “scoprila nelle piazze più open d’Italia…” come a dire se non vieni tu a vederla saremo fieri di mostrartela noi in piazza, a casa tua.
Bravi. Se lavorassi per Peugeot avrei fatto proprio così.

lunedì 19 marzo 2012

Renault Twingo, personalità in movimento o solo cattivo gusto?


Davvero c’è qualcuno alla Renault che ci vuole far credere che la personalità si dimostra facendosi un tatuaggio a 12 anni alla base della schiena? O magari la personalità è nascosta tra le rughe di una mamma sprint che ha un mega tatuaggio a colori (sempre sul fondoschiena) e che lo confronta con la figlia?
Naturalmente mi sto riferendo al nuovo spot della Renault Twingo che per pubblicizzare le innumerevoli personalizzazioni possibili della macchinina ha scelto di toccare lo spirito “conservatore” delle famiglie italiane. Personalmente questi 30 secondi risultano sì simpatici ma forzati e di cattivo gusto, diseducativi e fintamente pacificatori tra le generazioni.
Per non parlare di quello che celebra le nozze gay, andato in onda pochissime volte. Ultimamente poi mi ricordo di quel tipo con la Megane che riaccompagna a casa una bella ragazza dopo una festa, lei lo invita a salire (ed è evidentemente francese) ma lui no! Lui preferisce guidare e scompare nella notte. O l’altra della Clio dove fuori dalla scuola un ragazzo non aspetta il figlio che esce correndo e felice ma la maestra. E non ci sarebbe niente di male, anzi scatena una certa invidia, se non fosse per il pay-off mostruoso “Dalla vita aspettati di più”, come se aspettare un figlio fuori dalla scuola è da sfigati.
Individuare l’artefice di tanto sarcasmo è facile, è la direzione Renault perché proprio non possiamo dare la colpa all’agenzia incaricata che ovviamente ha fatto la sua proposta, ma sono stati i vertici dell’azienda a decidere. Però voglio dire all’agenzia inglese Publicis Conseil che è l'autrice degli spot Twingo cosa gli passa per la testa? A soddisfare il cliente Renault registrando cambiamenti sociali fuori da ogni contesto nazionale e di buon gusto?
Eppure il brand era partito nel 2011 buttandosi a capofitto nell’auto elettrica. Almeno sulla carta, con brochure e qualche inserzione sulla stampa o aderendo a progetti ridondanti sulla riduzione delle emissioni. Non erano loro che sono in possesso del brevetto per il motore che con 1 litro di benzina percorre 100 Km? E comunque la Francia era molto interessata al petrolio della Libia qualche mese orsono. Questi però sono altri discorsi. Il discorso più importante è che l’anno scorso le vendite della casa automobilistica sono scese del 5,7% in Europa, colpa della crisi?
Se lavorassi per Renault però baserei ogni mia azione di immagine esterna (e anche interna che non guasta mai) sul rispetto dell’ambiente e sulla macchina del futuro. Questo comporta anche un certo sforzo a trovare la chiave giusta per affrontare i cambiamenti repentini di questa epoca. Ma cambiamento non vuol dire stravolgimento di tutto. Essere rivoluzionario oggi è preservare alcuni valori fondamentali, come ad esempio il rapporto tra mamma e figlia e nel conseguente stile di educazione. Così come è importante educare al rispetto dell’ambiente. Creerei una storia struttura come sequel proprio su questo argomento.

martedì 6 marzo 2012

Italia 1 ha forse cambiato target?


La domenica sera in televisione dovrebbe essere il luogo magico dove rilassarsi, apprendere qualche nozione per crescere la propria persona e prepararsi al lunedì di lavoro riuscendo a far proprie informazioni di cui parlare in pausa pranzo.
No no non sto parlando di cultura, non mi permetterei mai di scrivere nella stessa frase televisione e cultura, sto parlando di come riuscire ad applicare i parametri giusti di un’azienda spiccatamente commerciale, optare per una politica di rete corretta e una profilazione di target coerente.
E proprio parlando di target la domanda è… ma in questo momento a chi si rivolge Italia 1, il canale più giovane di Mediaset? Agli anziani?
Io amo le vicissitudini della famiglia Simpson, mi ricordo di aver seguito il primo episodio del fortunato cartone nell’ottobre del 1991, un secolo fa, ne sono innamorato, affezionato e sempre stato sostenitore di quell’ironia a volte cinica sulla società moderna, su tutti noi in pratica.
Ma nonostante questo amore viscerale alcuni episodi, per altro vecchi e quindi visti e stravisti, non possono andare in onda la domenica sera prima di mezzanotte su una rete nazionale come Italia 1. Non si può!
In questo modo non si fa piacere agli appassionati, si dimostra solamente di non avere le idee chiare, che all’interno della rete ci sono feroci lotte intestine, che alcune scelte come la nuova (davvero?) edizione del Chiambretti Night non ha dato i risultati sperati… e come avrebbe potuto poi? Abbiamo visto qualcosa di innovativo o di particolare?
In ogni modo, quale sarà allora la ragione che convoglierà un target giovane e mediamente istruito a guardare il palinsesto di Italia 1? Cosa spingerà milioni di italiani a lasciare l’immensità del web con la sua praticamente infinita offerta di contenuti per guardate una puntata dei Simpson verso mezzanotte di una domenica sera?
Il paradosso poi è che stanno proponendo lo sdoppiamento della rete con Italia 2. Il suo promo rokkeggiante appare in ogni blocco pubblicitario, forse è così che intendono riempire i vuoti di palinsesto?
E allora se lavorassi per Italia 1 avrei un po’ più di coraggio e produrrei trasmissioni a basso costo ma con altro coefficiente di contenuto, dove si possa apprendere, capire il mondo, essere attratti, fare esperienze stando seduti in poltrona. In questo momento di austerità il pubblico si è stancato di vedere una manciata di sbruffoni litigare, rifiuta lo spreco di denaro pubblico per scenografie pompose, capisce ormai la banalità delle tematiche offerte. Il pubblico sta scappando e si sta lasciando dietro un deserto di professionisti e dirigenti del settore privi di iniziativa e di idee. È il momento di agire.
Le idee ci sono, non si svilupperanno sui format tradizionali e occorrerà un paradigma nuovo, ma la trasformazione è in atto e sta accelerando.

venerdì 2 marzo 2012

Niente New Coke, siamo tradizionalisti!


Il 1985 può essere ricordato sicuramente come l’anno che segna l’ingresso della Comunicazione in una fase più matura che cambierà per sempre il mondo della pubblicità, ma soprattutto cambierà radicalmente il rapporto tra le aziende e i suoi consumatori.
E furono proprio loro a gran voce a dire alla Coca-Cola Company che il suo nuovo prodotto, la New Coke, non avrebbe mai e poi mai sostituito la vera Coca-Cola.
L’azienda però nel frattempo aveva investito oltre 4 milioni di Dollari in ricerche di mercato sottoponendo il prodotto a più di 200.000 test sul sapore.
In realtà la New Coke poteva anche risultare più buona della Coca tradizionale, ma gli amanti della bevanda tutta bolle non presero nemmeno in considerazione questa possibilità. Punto.
Un’ingente quantità di persone scrisse e telefonò per “pretendere” il ritorno della Coca-Cola tradizionale.
Ma c’è di più. In quei mesi si formò una sorta di movimento sotterraneo che indusse un texano, ad esempio, a rifornirsi di Coca originale per circa 1.000 Dollari.
L’azienda nell’arco di 3 mesi reagì e tornò alla sua produzione normale, cancellando la New Coke per sempre.
Nonostante il brand Coca-Cola sia da sempre in testa alla classifica del valore in assoluto con circa 72 miliardi di Dollari, è chiaro che questo valore è stato sempre in mano ai consumatori.
Se lavorassi per il Gruppo Coca-Cola in ogni convention, in qualsiasi convention (venditori, dipendenti, clienti, ecc ecc) e comunque in ogni evento che riguardi la comunicazione interna, farei un riferimento attraverso una serie di video che raccontano questa storia romanzata con il risvolto finale che il marchio, nonostante produca una semplice bevanda, è la bevanda più amata e distribuita nel mondo. E che è ormai entrata nella storia.

lunedì 27 febbraio 2012

Olio Cuore che passione!


Può un’idea seppur geniale durare per quasi 30 anni in questo settore?
A quanto pare l’uomo che salta la staccionata per l’Olio Cuore è ancora in voga. Certo, dal 1983 è cambiato (c'era Dino Zoff), è quasi ringiovanito, come tutti noi d’altronde. Se guardiamo le foto di quando avevamo 20 anni sembriamo più vecchi, trasandati, fuori forma. A molti quarantenni (tremo solo a scriverlo!) di oggi succede proprio così.
E allora ben venga l’uomo che per tenersi in forma non solo salta le staccionate, ma che diventa più bello, un altro in pratica nel corso del tempo e dei decenni.
Ovviamente il prodotto è rimasto lo stesso, è pur sempre un olio di semi, però diciamo la verità, chi non ha mai provato a saltare la staccionata in quel modo scoprendolo un gesto incredibile. Io confesso che da piccolo una volta sono anche caduto. Quel gesto così semplice, così inusuale se vogliamo, così metaforico ha conquistato un po’ tutti. Al diavolo se poi non abbiamo mai assaggiato quell’olio o non lo guardiamo neppure sullo scaffale del supermercato; ha un packaging davvero anonimo e anni ’80.
In questo ultimo periodo in rete su Youtube girano molti video di emulatori anche divertenti e allora è il caso di dirlo “se lavorassi per” l’Olio Cuore spingerei molto su questo aspetto social del brand.
Partirei con l’organizzare un tour nelle più importanti piazze italiane dove da un lato informerei la popolazione sulla composizione del prodotto, dei suoi vantaggi, ecc ecc e poi inviterei tutti a fare la prova della staccionata. Riprenderei tutto e lo condividerei nel sito istituzionale o ovunque in rete. Divertente, no? Friendly, no?
Quindi sì un’idea di tale intuizione e per un prodotto ben specifico può durare nel tempo, ma è anche ora che quel pay-off “Mangiar bene e sentirsi in forma” e l’immagine nel suo complesso siano rivisti e adeguati per dare forza propulsiva all’ampliamento della fetta di mercato attuale.