È da più di un anno che non scrivo
articoli. La scrittura per me è vita, profondità del sentire, metafora perenne
per trasporre ogni respiro e tratto distintivo dell’essere umano.
Non avendo scritto allora si
potrebbe pensare che in questo periodo non abbia nemmeno vissuto, o meglio
vissuto in modo completo.
Non è esatto. Ho più che altro
osservato, studiato, incamerato. Ho avuto il tempo di annoiarmi, disgustarmi,
stupirmi, stupirmi di essere stupito, rattristarmi, scoraggiarmi, rivivere,
eccitarmi, riflettere, godere, odiare.
Professionalmente in questo periodo mi
sono cimentato con una start up molto impegnativa in un settore merceologico tutto
da scoprire.
Mi sono ritrovato nei meandri
esclusivi e ignoti di un amore uroborico.
Ho perso degli amici e ho scoperto
nelle persone problematiche prima ignorate.
Soprattutto ho perso parte della mia
immaturità venendo a mancare mio padre dopo un periodo di malattia.
È stato proprio questo periodo a
farmi considerare meglio il concetto di sottrazione, quelle infinite cose che
perdiamo nella vita.
Mi è tornato in mente che, tempo fa,
usavo il concetto di sottrazione nella realizzazione di alcuni video aziendali.
In pratica, invece di far
corrispondere la parola ad una immagine, era lo schermo nero che lasciava
spazio all’immaginazione di chi guardava ed offriva la libera interpretazione
al messaggio che si “doveva” proporre. Perché è difficile sintetizzare un
concetto in una parola e farlo combaciare con un’immagine ancora di più, a
volte quindi è meglio lasciare questa operazione all’idea che ognuno di noi ha
in mente.
Ho applicato negli anni questo
concetto in tantissimi altri lavori e sempre con successo.
Ma umanamente il concetto di
sottrazione a volte, provoca dolore e rabbia davanti alla sua irreversibilità.
In alcuni casi anche un danno psicologico che è sempre più evidente in alcuni
risvolti decadenti della società.
Nonostante quella caratteristica
digitale-onnisciente della comunicazione attuale che professa uno stile di vita
dove l’importante è acquisire cose (per lo più), ma anche servizi, sapere,
contatti sociali (virtuali per lo più) e ambizioni, viviamo in un frangente
epocale dove subiamo costantemente una sottrazione.
La proposizione di un qualsiasi modello
sociale viene velocemente seguita dalla sua impossibilità nel realizzarlo.
La perenne rincorsa alla crescita,
che sia produzione industriale o status sociale, è sempre interrotta da
“ostacoli” insormontabili che nella teoria proposta vengono visti solo come
probabili, it’s up to you cioè spetta a te, ma alla fine puntualmente accadono.
Vengono solamente nascosti, spostati dal nostro focus visivo, elusi.
Ogni istituzione però ha dietro
delle persone.
Aziende e famiglie hanno sempre e
comunque alle spalle delle persone. E le persone quotidianamente non vivono in
un film, a volte sono stanche della routine, s’interrogano se magari vogliono
un figlio, vorrebbero una vita meno noiosa e allo stesso tempo più forza per
essere intraprendenti... Vogliono una ragione per consacrare la loro vita. Ecco
quello che vogliono.
Tutti noi vogliamo una ragione per
consacrare la nostra vita. Una ragione per sacrificarci, una ragione che ci
faccia sentire eroe ogni giorno.
Penso, e ne sono convinto, che
intercettare questo bisogno sempre più sentito in questa seconda decade del
millennio delle “meraviglie” (cit. Salgari), porterà ad un nuovo modo di fare
business, qualsiasi esso sia.
Oltre le ricerche di mercato, oltre
gli studi neuronali, oltre tutti quei libri che abbiamo studiato.
"Il fiore perfetto è una cosa
rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita
sprecata" (dal film L'ultimo Samurai).
A presto.
RCD